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Lo sgombero dei campi Rom: Il business della sicurezza 

Scritti nomadi

"Noi gitani siamo come le nuvole. Non abbiamo diritti, nè luce, nè  acqua. Ci hanno detto che ci cacceranno da qui, che finiremo in campi lontani dalla città. Che faranno di noi? Glielo dico io: ci metteranno in campi di concentramento moderni”. Parlava così Hakia, giovane madre di sei figli, seduta all’aperto nel centro del campo Casilino 900 di Roma. Era la primavera del  2008. Aveva previsto e capito tutto prima dei fatti. Il suo campo ora è diventato cenere. Le ultime baracche sono state rase al suolo lo scorso gennaio. Tutta la popolazione del “più grande campo Rom” d’Europa è stata spostata in centri video-sorvegliati, con tanto di recinzioni, guardiania armata e tessera magnetica. I circa 600 rom censiti sono finiti nelle strutture attrezzate di Salone e Candoni, a via dei Gordiani e Camping River. L’Italia,  in particolare con Roma e Milano, è stata l’apripista in Europa per una politica apertamente discriminatoria nei confronti delle comunità Rom.

 

Sulla variegata popolazione Rom si specula, oltre a usarla per fini elettorali. Nel corso degli anni i fondi stanziati per le politiche d’integrazione sono stati sistematicamente stornati verso operazioni di sicurezza. Il “piano nomadi” nella capitale è l’esempio più strutturato di questa pratica. La giunta Alemanno ha attuato il primo programma sviluppato attraverso i poteri speciali previsti dal decreto governativo del maggio 2008 ed ha  dichiarato “l’emergenza nomadi”. E’ stato l’avvio di una serie di sgomberi forzati di migliaia di Rom e al trasferimento in campi costruiti fuori il raccordo anulare. Per i prossimi mesi sono ha già in cantiere gli sgomberi di altri 200 campi abusivi in cui vivono 2.500 persone, non solo Rom.  Il piano, applicato dal luglio del 2009, ha puntato al trasferimento di 6.000 Rom (su 7.177 residenti nei campi, secondo un censimento considerato incompleto) in 13 campi definiti “villaggi”. Sette campi considerati “autorizzati” sono stati ampliati, mentre tre “tollerati” solo ristrutturati. E’ stata pianificata la costruzione di altri due nuovi campi insieme ad una “struttura di transito”. Il sindaco ha fissato a 6.000 il numero di Rom che la capitale può recepire.

 

Un calcolo che etichetta la popolazione Rom come entità uniforme, quando in realtà si tratta di un mondo estremamente variegato, con provenienze molto diverse. In base a stime indipendenti a Roma abitano tra 12.000 a 15.000 persone appartenenti alla galassia Rom. Circa 3.000 sono sinti italiani. Molti sono arrivati già negli anni sessanta e provengono dalla ex Jugoslavia.  Hanno il permesso di soggiorno e figli con la cittadinanza italiana. Poi molti hanno raggiunto l’Italia negli ultimi dieci anni dai nuovi stati membri dell’Unione Europea, soprattutto dalla Romania. La maggior parte proveniva da alloggi permanenti e unicamente a causa della precarietà economica hanno dovuto installarsi nei campi della capitale. Una condizione che è perdurata nel tempo e che ha creato ulteriore marginalità. Ma alla necessità di un superamento della realtà dei campi, le amministrazioni hanno risposto con sgomberi a tambur battente, utilizzando finanziamenti milionari: “Il dipartimento ai servizi sociali – dice Francesco Careri, docente a Roma Tre e fondatore di Stalker/Osservatorio Nomade - ha speso 15 milioni di euro in sorveglianza. Il budget della Prefettura è addirittura di 23 milioni, sempre per il medesimo utilizzo. Sono tutti finanziamenti che arrivano dal piano sicurezza del Ministero degli Interni insieme probabilmente da quelli della Regione. I soldi sono finiti alle voci: ristrutturazione, nuovi campi e bonifiche.

 

Questi calcoli li abbiamo dedotti dopo molte ricerche, perchè non ci sono documenti ufficiali sui costi del Piano nomadi. Abbiamo mandato richieste sia alla Prefettura sia al dipartimento, ma non c’è stata risposta”. Il collettivo Stalker, che da anni lavora con le comunità Rom aveva realizzato nel campo di Casilino 900 un progetto di auto-costruzione: una grande casa in legno costruita collettivamente e ribattezzata “Savarengo Ker”. Costata quanto un container, la casa aveva dimostrato la possibilità di applicare alle conoscenze e alla cultura del popolo rom, la tecnologia che permette di avere case a norma. Alla luce di questa esperienza, Francesco Careri rilancia: “Abbiamo fatto un calcolo semplice: secondo i costi dell’edilizia pubblica una casa a Roma costa 1.200 euro a metro quadro. Come ha dimostrato Savarengo Ker, con l’auto-costruzione i costi si abbattono e per una casa si spendono 600 euro a metro quadro. Con il budget speso per gli sgomberi si poteva garantire una casa per tutti i 6 mila rom, cioè a coloro che Alemanno fissa come autorizzati a restare a Roma e dintorni”. Nella capitale è dal 1996 che vengono stanziati cospicui finanziamenti per le comunità Rom. Più di un centinaio di milioni di euro che si sarebbero potuti trasformare in alloggi stabili. Aveva iniziato la giunta Rutelli con l’ordinanza n.80 del 23 gennaio 1996. Nel documento l’amministrazione capitolina aveva fissato un numero chiuso per le presenze nei campi.

 

Da allora il Comune ha speso 10 milioni di euro l’anno per la gestione dei campi sosta. La cifra, secondo i bilanci, comprende: servizio di pulizia e ritiro rifiuti da parte di Ama, la municipalizzata; il pagamento di utenze per acqua e elettricità; gestione del campo e i lavori di manutenzione. Oltre a queste spese si devono aggiungere i 3 milioni di euro annuali per il cosidetto settore sociale. Per rimanere alle cifre di una politica esplicitamente disgregante, l’aspetto dell’istruzione è uno dei più oscuri. Secondo il collettivo Stalker/Osservatorio Nomade lo scorso anno per la scolarizzazione dei bambini e dei ragazzi dei campi Rom lo stanziamento era di 2 milioni di euro.  I bimbi in età scolare sono però 2 mila e a molti di loro è stato anzi privato il diritto allo studio. Gli sgomberi del Piano Nomadi di Roma si sono dimostrati una evidente violazione dei minori rom. Lo dimostra l’associazione “21 luglio” che ha presentato i dati di una breve ricerca condotta sui 247 minori in età scolare sgomberati dal Casilino 900 nei primi mesi del 2010. Secondo l’inchiesta nell’anno scolastico 2009-2010 almeno 37 minori rom iscritti alla scuola dell’obbligo hanno dovuto interrompere il loro percorso scolastico a causa dello sgombero; più di 70 bambini, hanno invece dovuto sospendere la frequenza scolastica per un periodo non inferiore ai due mesi. Il motivo di tanta dispersione è la conseguenza di un progetto che si basa sulla “segregazione abitativa” secondo la stessa denuncia dell’Onu. I nuovi campi sono tagliati fuori da tutto. Senza collegamenti con i trasporti pubblici, in aree perse nelle periferia e sottoposti ad una stretta sorveglianza.

 

Dopo le schedature degli anni passati, il Comune ha creato una tessera di accesso ai campi. Il Dast (Documento di autorizzazione allo stazionamento temporaneo) certifica la buona condotta e impegna il possessore ad alcuni obblighi, tra cui, la scolarizzazione dei figli e il pagamento di un canone per l'uso della piazzola. Il documento, con validità di due anni (prorogabile per altri 24 mesi), riporta generalità, campo di residenza e foto dell'avente diritto, viene rilasciato a tutti i residenti nei campi autorizzati che siano già in possesso di permesso di soggiorno o carta d'identità o che abbiano dimostrato la presenza sul territorio da almeno 10 anni. In queste condizioni secondo il Comune di Roma si sono gettate le basi per l’integrazione: “L'obiettivo – ha dichiarato l'assessore alle Politiche sociali di Roma Sveva Belviso - è quello di rendere indipendenti i nomadi, attraverso progetti come Retis (rete di inclusione sociale) e grazie al lavoro dei presidi socio-educativi presenti nei campi”. Ma i finanziamenti sono andati a voci ben diverse da quelle sociali. Ad esempio il campo di Castel Romano, sulla Pontina è stato costruito su un’area di quattro ettari dentro una riserva naturale. Li’ vivono il migliaio di abitanti che alloggiavano da trent’anni nel quartiere Marconi, sgomberato nel 2005. In un primo tempo era stata presentata come una soluzione temporanea. Ma ormai sembra definitiva. La costruzione del campo è costata 5 milione di euro. Lo testimonia anche uno studio dell'organizzazione EveryOne sui fondi UE destinati a progetti indirizzati alle popolazioni Rom. Dal 2007 a oggi, il governo italiano e le amministrazioni locali hanno impiegato 91 milioni 615 mila euro - oltre 83 mila euro al giorno - per sgomberare insediamenti Rom di città medio-grandi.

 

Nel conteggio sono esclusi i finaziamenti spesi per le operazioni contro i  piccoli insediamenti abusivi. I senatori radicali Perduca e Poretti hanno presentato un’interpellanza parlamentare ai Ministri Frattini e Maroni per chiedere chiarezza sull’uso dei fondi. Per il periodo compreso tra il 2007 e il 2013, l'Unione europea ha predisposto uno stanziamento di 15 milioni 321 mila euro all'Italia attraverso l'FSE - il Fondo Sociale Europeo -, principalmente per l'inclusione sociale dei soggetti svantaggiati.


Le popolazioni Rom e Sinti, in particolare, dovrebbereo essere coinvolti in una serie di iniziative previste dal budget FSE. Ma oltre ai fondi europei, precisano dall’organizzazione per i diritti umani EveryOne “Risulta che il Governo abbia percepito negli ultimi tre anni consistenti somme anche per quanto concerne il progetto KNE, che intende garantire e migliorare i processi di integrazione e inclusione sociale dei migranti giunti di Italia da massimo 5 anni tramite l'offerta di percorsi di formazione teorico-pratica di lingua italiana, di orientamento civico e di formazione professionale. Il Progetto, finanziato dal Ministero dell'interno e dal FEI (Fondo Europeo per l'integrazione di Cittadini di Paesi Terzi), co-finanziato e realizzato dalla Camera di Commercio di Roma.” Ma dove siano effettivamente finiti questi finanziamenti per ora non è dato di saperlo. 

 

La ricostruzione dello sgombero di Casilino 900 su sito:  HYPERLINK "http://parking900.blogspot.com/" http://parking900.blogspot.com/ 

 http://www.21luglio.com/

 Da consultare sul sito: www.everyonegroup.com/it/

 

 

IL RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL: “La risposta sbagliata”

 

 

Il rapporto di Amnesty International, presentato nel marzo del 2010, è stato il segnale che forse il silenzio calato per troppo tempo sulla condizione dei Rom nella capitale, sarebbe finito. Di fronte  ad una politica fatta di sgomberi forzati e segregazione, l’organizzazione per i diritti umani ha presentato un documento in cui già a partire dal titolo esprimeva un giudizio severo: “La risposta sbagliata: il piano nomadi viola il diritto all’alloggio dei Rom a Roma”.

Nel rapporto emerge chiaramente che non vi è stata nessuna effettiva consultazione dei Rom interessati dal piano. Gli abitanti dei campi non hanno potuto scegliere in quale area andare e men che meno poter aspirare ad una alloggio permanente. Nel corso dei mesi Amnesty ha raccolto 15 mila firme contro la politica del Comune di Roma. Ora qualche piccolo passo avanti sembra arrivare dice Giusy Dalconzo coordinatrice campagne e ricerca sui Diritti umani in Italia di Amnesty International: “Abbiamo notato che le istituzioni hanno iniziato a dialogare con le persone nei campi e questo è importante. La cosa che non funziona ancora è che per ora il progetto resta di sostanziale segregazione abitativa. In tutto il piano si parla solo di campi e non di soluzioni alternative come l’accesso agli alloggi pubblici. Di fatto se guardiamo la cartina di Roma vediamo che tutta l’operazione si basa su una forza centrifuga, fuori dal raccordo. A questo si aggiungono gli sgomberi dei micro-campi. Si tratta di circa 200 insediamenti. Non sappiamo al momento se queste operazioni rientrano o meno nel piano nomadi e se gli abitanti saranno destinatari di nuovi posti o no”.

Il rapporto di Amnesty lega la questione abitativa all’integrazione. Il problema ricade soprattutto sui bambini che da anni frequentavano le scuole nelle aree vicino ai campi: “Con gli sgomberi forzati le carriere scolastiche sono state interrotte – sottolinea Giusy Dalconzo - E’ una delle preoccupazioni più grandi emerse dagli abitanti dei campi che vedevano i primi risultati dell’integrazione dei loro figli. Lo sgombero lascia poco spazio e vanifica i passi precedenti”. 

 

Valori, novembre 2010

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