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Babelmed

marzo 2010

Il muro di Madrid

La politica per contrastare l’immigrazione del governo Zapatero ha fatto scuola nel resto dell’Unione Europea.

 

Per molto tempo nella sinistra europea, il capo del governo spagnolo, è stato ribattezzato con l’elogio a perdifiato di «Vivazapatero». José Luis Rodriguez Zapatero ha infatti rappresentato ai giorni nostri il raro politico pronto a rispondere alle sfide della modernità con delle soluzioni nel nome della civiltà. Zapatero si è così garantito una ferrea reputazione di paladino dei diritti civili. Una realtà che però si è presto fermata negli stretti confini dei cittadini spagnoli, di coloro cioè che hanno le carte in regola per vivere sul suolo della repubblica. Per tutti gli altri, per i migranti “sin papeles”, il volto del leader socialista non si è dimostrato di larghe vedute. Alla stregua dei colleghi europei, Madrid applica una dura politica di chiusura delle frontiere. Addirittura per certi versi il premier spagnolo è stato il precursore dell’attuale politica di controllo militare delle frontiere fuori degli immediati confini europei per contrastare i flussi migratori.

 

Il pugno fermo di Madrid arriva nel 2005, quando l’estate trascorre con gli sbarchi dei “cayucos”, le tradizionali imbarcazioni dei pescatori africani, gremite di persone in rotta verso un Eldorado chiamato Canarie. In pochi mesi 33.000 migranti subsahariani arrivano nell’arcipelago spagnolo facendo scattare un dispositivo securitario e diplomatico per bloccare il flusso. Il governo Zapatero si mobilita per coinvolgere l’Unione Europea e per rafforzare il ruolo di Frontex, l’agenzia per la sicurezza delle frontiere. Iniziano i controlli militari del braccio di mare Atlantico che divide l’Africa dalle Canarie e quello del Mediterraneo.

 

Nasce il “Plan Africa” (approvato nel maggio del 2006) della durata di tre anni dal 2006/2009, ora stato rinnovato fino al 2012.

Il piano è composto da una serie di accordi di riammissione e i paesi coinvolti (Mauritania, Gambia, Guinea-Conacry, Mali e Capo Verde) si vedono aumentare gli aiuti allo sviluppo sulla base delle collaborazione nell’accettare i rimpatri forzati. Chi non accetta il Plan Africa ne paga le conseguenze. E’ il caso del Senegal contro cui Madrid ha scatenato un’offensiva diplomatica ottenendo di seguito il rimpatrio forzato dalla Spagna, nel corso degli ultimi anni, di cinquemila cittadini senegalesi immigrati. In cambio il governo Zapatero ha garantito il taglio del debito, gli aiuti allo sviluppo e i permessi di soggiorno regolari per una quota di lavoratori senegalesi (duemila per il settore della pesca, settecento per la raccolta delle fragole).

Il premier Zapatero ha sempre rivendicato il proprio ruolo nella costruzione del “muro” intorno all’Europa: «La nostra politica sull’immigrazione – ha detto - ha un principio: possono venire qui e restare coloro che sono arrivati in modo legale. Questo significa lotta con determinazione contro l’immigrazione clandestina» (1). La politica dei controlli di Frontex ha indubbiamente portato alla drastica diminuzione degli arrivi di migranti in rotta verso la Spagna.

 

Nel 2007, solo un anno dopo l’introduzione dei controlli Frontex, gli arrivi verso l’arcipelago spagnolo sono calati del 60%. Nel 2009, secondo cifre ufficiali di Madrid, gli immigrati illegali entrati nel territorio spagnolo sono stati circa 7 mila, una diminuzione del 50% rispetto i 14 mila dell’anno precedente.

Ma a ciò non ha corrisposto a un altrettanto netto calo delle vittime, ogni anno dalle 700 alle 800 (2). Si tratta soprattutto di giovanissimi che si mettono in cammino verso l’ Europa, spesso si tratta di minori. I controlli impongono la scelta di rotte dell’oceano sempre più pericolose, pur di sfuggire alle pattuglie militari. Così le attività di Frontex incrementano gli affari dei “passeur” e delle reti criminali che si alimentano con il traffico di esseri umani.

La Spagna inoltre, negli ultimi quattro anni, ha negato l’ingresso a 400 mila persone in corrispondenza del suo confine terrestre con il Marocco nelle enclaves di Ceuta e Melilla. Sono veri e propri respingimenti che avvengono in aree geografiche in cui è più concreta la possibilità di violazione dei diritti umani, per la scarsa possibilità di esercitare un controllo da parte delle organizzazioni umanitarie.

Da questo quadro emerge una politica d’immigrazione severa, che anche se applicata fuori dai confini del paese, ha necessariamente ricadute interne. Si diffonde da una parte il risentimento, dall’altra si autorizza a praticare l’esclusione.

E’ in questa chiave che, con la complicità del vento di crisi, si sono recententemente alzati i toni nei confronti dei cittadini considerati di serie B, perchè privi di documenti.

 

Il pretesto è arrivato con la recente rivolta guidata da alcuni sindaci contro una legge del 2004 che garantisce il diritto alla salute anche agli immigrati irregolari, che una volta iscritti ai municipi di residenza, hanno la possibilità di usufruire dell’assistenza sanitaria.

La rivolta, fomentata anche dal Partito Popolare, ha fatto chiaramente emergere la reale ostilità nei confronti dell’ “altro”.

Un dato che viene confermato anche da un’inchiesta realizzata dall’Osservatorio sul razzismo del ministero del Lavoro e dell’Immigrazione, secondo cui la richiesta di aumentare le restrizioni contro i migranti è salita di 18 punti negli ultimi cinque anni. Il 42% dei tremila intervistati ritiene “troppo tolleranti” le leggi che regolano l’accesso e la permanenza degli stranieri in Spagna.

Alla domanda del sondaggio in cui si chiede se sul territorio spagnolo risiedano troppi immigrati, il 77% degli intervistati definisce la loro presenza “eccessiva”. Fino al 1996 a pensarla così erano molto meno, il 28% dei cittadini spagnoli.

 

1 José Luis Zapatero intervento durante la campagna elettorale del marzo 2008.

 

2 Secondo i rapporti della Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía; http://www.apdha.org/index.php

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