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Barcelona c'est fini

 

C’è stato un tempo in cui un pianoforte sfrecciava nelle strade della città vecchia di Barcellona. Era l’imbrunire. Gli ultimi tagli di luce scendevano diretti dal cielo. Caricato su quattro ruote, lo strumento lasciava il Barrio Gotico per sbucare sulle Ramblas e trasformarsi in una pioggia di note per turisti e curiosi. Quella era ancora la Barcellona capitale degli artisti di strada, proprio perchè in città la calle era una filosofia di vita più che un luogo di passaggio. Da cinque anni a questa parte l’atmosfera è talmente cambiata che l’elenco dei divieti ha reso quasi impossibile la libera espressione per le strade della città, con ricadute sempre più evidenti per chi della calle aveva fatto il proprio palcoscenico. Progressivamente il Comune di Barcellona ha introdotto disposizioni rigide per i musicisti che riempivano in modo spontaneo i barrios contigui alle Ramblas. Ora solo coloro che hanno fatto richiesta di un accredito possono esibirsi, al massimo quattro ore al giorno in alcune zone e non più di due volte alla settimana. Dalla lista degli strumenti tollerati sono state depennate le percussioni, considerate troppo rumorose, non solo in città ma anche nel Parc de la Ciudadela, uno dei parchi dove la domenica pomeriggio si scatenavano gare tra battitori virtuosi.

Chi non rispetta le regole viene multato e gli viene sequestrato lo strumento, come è capitato recentemente ai Batukeros de la calle, formazione che improvvisa concerti miscelando reagge, rumba e salsa: “La multa per ogni strumento è di 173 euro e pagare è l’unica maniera per riaverli indietro – racconta Pierre, voce e chitarra del gruppo – Stavamo suonando durante la Festa di Gracia, c’era tanta gente per strada. All’improvviso è arrivata la polizia e ci ha portato via tutto, senza ascoltar ragioni. Ora stiamo cercando di racimolare qualche soldo suonando in periferia. Abbiamo composto una canzone su quello che ci è successo, si chiama “Malayerba” racconta di come nella società alcuni ci considerano come l’erba matta da sradicare. Ma lì, su quel tappeto verde, gli ricordiamo che ci sono dei fiori”.

Da luglio il Comune ha inoltre esteso le restrizioni anche ai locali che organizzavano musica dal vivo, ritirando la licenza a una sessantina di bar che avrebbero potuto diventare rifugio degli artisti. La scure ha colpito anche il cafè-chantant London Bar e il suo palcoscenico pieno di storia: “Questo bar l’ha fondato mio nonno nel 1910 – precisa la proprietaria Eli Bertran Roca – è qui che si riunivano gli artisti del circo e i cabarettisti. Era diventato, oltre che un luogo dove esibirsi, la vera agenzia dello spettacolo della città. Per sfondare si passava da queste sale. Ora anche se abbiamo fatto i lavori di insonorizzazione ci hanno tolto la licenza e limitato l’apertura alle 2,30 della mattina. Era qui che una volta si finiva la notte, fino a che non si vedevano le prime luci dell’alba. Mi sembra chiaro che vogliano rendere la musica una cosa d’élite. Ci stiamo assimilando a tutte le altre città”. Lentamente con il passare dei mesi l’ordinanza comunale si arricchisce di nuovi divieti, come quello contro i ragazzi con gli skateboard, che movimentavano nel quartiere Raval, la piazza del centro d’arte contemporanea MACBA. Tutti cambiamenti che non sfuggono al musicista giramundo per eccellenza, Manu Chao, che da qualche anno vive a Barcellona. Francese, con padre galiziano e madre basca, l’ex leader dei Mano Negra mantiene il suo autentico amore per “la strada”. Anni fa aveva scritto una canzone che diceva “Paris la nuit c’est fini”. Ora forse tocca a Barcellona.

Con lo sguardo morbido e la parlantina battagliera Manu Chao, davanti a un caffé racconta come muta la città, in un déjà vu pericoloso.

 

E’ da tempo che la città sta cambiando. E’ l’Europa che arriva a gran passi e alimenta il côté grazioso e patinato di Barcellona. Ma qui permangono problemi e contraddizioni.

 

Come artista, tu hai sempre difeso la possibilità di esibirsi per la strada. E’ anche perchè la tua carriera è cominciata nel metro di Parigi?

 

All’inizio, con i Mano Negra abbiamo imparato molto suonando in giro e soprattutto nelle stazioni del metro. All’epoca era ancora possibile, ma ora anche in Francia è più difficile. Ogni tanto poi venivamo a Barcellona e per noi questa città era un posto meraviglioso dove suonare, perchè potevamo esprimerci per strada, suonare davanti a un pubblico e guadagnare un po’ di soldi. Le Ramblas sono state per me la più bella sala prove del mondo. Stiamo però parlando del passato, ora non è più assolutamente la stessa storia. Una volta potevi vivere suonando per la strada, raccogliere un po’ di soldi e soprattutto imparare, imparare, imparare a comporre musica. Era un posto favoloso. Ora per le generazioni che arrivano è difficile. Sta diventando tutto assurdo. La polizia arriva in un baleno e confisca gli strumenti. Un gesto terribile.

 

Hai cominciato a denunciare questo fenomeno già quattro anni fa quando hai curato una raccolta di artisti di strada di Barcellona che si chiama “La Colifata”. Perchè non è nato un vero e proprio movimento di protesta?

 

Occorre tener presente che tutto si muove solo a livello di musicisti, che per lo più suonano per strada. Hanno cercato di organizzarsi ma è difficile, anche perchè la politica è totalmente contraria all’espressione libera che si sviluppa per la strada. Ed è la politica che fa le leggi, non certo noi.

Tutti i ragazzi che suonano si ritrovano la polizia immediatamente addosso. Quando vai a suonare per la strada, lo so per esperienza, non si è certo in cinquanta o sessanta. Si è in due, quattro, cinque, a volte sei. Non è una manifestazione. Tutta questa repressione è mossa della volontà della giunta comunale di far terra bruciata attorno al panorama artistico della città. Ma la grande ipocrisia è che il Comune da una parte ingaggia la repressione e vieta di suonare per la strada; dall’altra si vanta nei dépliants del côté bohème di Barcellona e incita tutti i turisti ad approfittarne e venire ad ascoltare gli artisti di strada. E’ super-ipocrita quello che stanno facendo.

 

A te è successo che arrivasse la polizia per cacciarti via?

 

Certo che mi è successo, mille volte. Anche in passato Barcellona non era certo il paradiso degli artisti di strada. Ma all’epoca non c’era questa cosa terribile che è la confisca degli strumenti. E’ tremendo quando ti portano via il tuo strumento, perchè quello rappresenta il tuo ferro del mestiere. Per ogni musicista è qualcosa di prezioso, anche simbolicamente oltre che materialmente, ed è un gesto molto aggressivo. La giunta comunale sostiene anche di lottare contro la delinquenza, ma credo che un giovane che è in giro per esibirsi con uno strumento stia semplicemente facendo musica. A un ragazzo che non ha lavoro, cui viene confiscato il suo strumento musicale, che cosa resta per sopravvivere? Niente. Quindi alla fine può essere costretto ad andare a fare cose non proprio legali. Credo sia un errore strategico a tutti i livelli.

 

Barcellona sta cambiando molto rapidamente. Lo si vede nei barrios Gotico e Chino. E’ come se venissero ripuliti a nuovo..

 

A Barcellona c’è una speculazione immobiliare delirante. Gli affitti degli appartamenti si sono moltiplicati in due o tre anni. Molta gente dei quartieri che una volta venivano definiti popolari non possono reggere questi prezzi. C’è la corsa degli immobiliaristi ad accappararsi i locali. Barcellona da cinque anni è una città che attrae, è venduta come un luogo “alla moda”. Ma è certo che tutti i proprietari di case preferiscono affittare a tedeschi, olandesi o svizzeri che vengono qui ad abitare, piuttosto che a gente che ha sempre vissuto qui.

Sta succedendo la stessa cosa che è capitata a molte altre città. Il centro, che è sempre stato popolare, si sta imborghesendo a velocità esponenziale. Ho visto la stessa cosa a Parigi e in molte altre città. E’ il risultato della voracità del denaro. Ora è soprattutto il nostro piccolo quartiere del centro, che abbiamo tanto amato, a cambiare molto e velocemente. Però, malgrado tutto ci resta ancora qualche angolo dove resistere...Ma è in corso un processo politico che ha già toccato altre città. Vogliono spedire tutta la gente che viveva nei quatieri popolari in periferia, come a Manresa o a Terrassa. Insomma il più possibile lontano da qui, in modo da recuperare il centro per la gente che ha i soldi... E’ un classico modello europeo. E poi si sviluppa la realtà delle banlieus come in Francia.

 

Ti senti sei a tuo agio a Barcellona?

 

Amo il mio quartiere, ovvio. Mi piace questa città, ci abito, vi faccio parte e sono contento di essere qui. Non ci sono tutto l’anno e non quotidianamente, sono costretto a viaggiare spesso, ma malgrado tutti i problemi che ci sono è la città dove abito. Anche se sta diventando invivibile sotto diversi aspetti. Vent’anni fa era tutto diverso. Era un piccolo eldorado. Era facile trovare una casa, guadagnare suonando un po’ per la strada..potevi mangiare fuori e non era costoso. Era una città molto aperta per la qualità della vita e molto generosa con un sacco di persone che arrivavano da fuori. Ora Barcellona ha chiuso con la generosità. Esiste un solo obiettivo: i turisti. Il gioco è centrare i turisti, anche perché se ne vuole solo uno di un certo tipo.. Un turismo che spende soldi senza essere troppo esigente sulla qualità, soprattutto per quello che riguarda il cibo. Tutte le nostre piccole trattorie dove avevamo l’abitudine di andare a mangiare chiudono, schiacciate dall’industria turistica della ristorazione. E’ sempre più difficile trovare un posto semplice, popolare dove mangiare. Ce ne sono ancora..ma sono in via di estinzione.

 

Sono gli stessi posti dove capitava di sorprendere qualcuno con la chitarra a divertirsi a suonare?

 

Si, ma ormai si può suonare sempre meno anche nei bar. Dipende anche dagli orari..io ci vado spesso con Madjid, il chitarrista di Radio Bemba, ma cerchiamo di non andare mai troppo tardi, verso le sette e suoniamo fino alle otto o alle nove. A partire dalle 10 diventa più complicato perchè può arrivare la polizia. La questione è che se vai in un bar come musicista non hai voglia di creare problemi al propretario o a quelli che ci lavorano. Siamo arrivati al punto che a causa tua la polizia può dare una multa al gestore o addirittura chiudere il bar.. Basta che un locale non sia in regola al 100% con il resto che può essere oggetto di notifiche. Quei poveretti del Comune hanno fatto dei proprietari dei bar la propria polizia: ogni volta che un musicista entra in un bar e canta i gestori si beccano una multa. Ne pagano una, due, tre ma alla quarta sono loro stessi a dire all’artista di non cantare. Perchè se canti gli chiudono il bar. Questa è la realtà. Comunque noi non ci fermiamo: continuamo a cantare un po’ qui e là.

 

E’ la vostra forma di resistenza?

 

Sì, anche perché non è un periodo in cui manca la creatività. La città è piena di gruppi musicali. Ora è complicato suonare per le strade in città, ma ci restano ancora i treni, ed è la soluzione per molti artisti di strada. Lì c’è meno repressione, anche se non sappiamo quanto potrà durare. Ci si organizza, anche se non è così divertente come anni fa.

 

Hai detto che suonare per la strada significa imparare. Che cosa può dare la strada a un artista?

 

Io ho imparato per la strada. E’ stata la mia scuola. E’ là che ho iniziato a suonare e a convincere la gente con la mia musica. Ma oltre alla strada, un esercizio interessante per un musicista è esibirsi nel metro, perchè tu passi da un vagone all’altro e hai dai tre ai cinque minuti per convincere il pubblico che hai davanti, cioè i passeggeri. Entri nella carrozza e tutti ti guardano storto, e si dicono “oh no, ancora uno, insopportabile...” e hai tre minuti per farli passare da questo stato d’animo a quello in cui ti daranno dei soldi con il piacere di farlo. E’ un esercizio molto difficile ed è in quel momento che impari davvero. Con i concerti è molto diverso, perché la gente che hai di fronte ha pagato per ascoltarti. Nella metropolitana nessuno è obbligato a pagarti e non chiedi l’autorizzazione per suonare, ma tu hai bisogno dei loro soldi per mangiare. Esibirsi in metropolitana è un esercizio appassionante, bisogna essere convincenti, andare rapidi, essere impeccabili nell’interpretazione delle canzoni, che devono essere semplici. Quindi è anche formativo per la scrittura, non hai il tempo di complicarti la vita.

 

All’inizio è stato difficile convincere la gente ad ascoltarti?

 

Si, certo è stata dura. Si tratta anche di tecnica e di savoir-faire. Ma io ho sempre suonato con persone che mi hanno accolto nel loro gruppo e che erano dei gran professionisti. Bisogna saper parlare, non solo cantare..

 

Anche con il viso?

 

Si, anche. Poi parlare alla gente, scuoterla un po’, criticare senza farlo davvero. Insomma è la "Commedia dell’Arte"!

 

Lo Specchio

dicembre 2007

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